Di Francesco Galofaro *
Domenica 15 ottobre in Polonia si sono tenute elezioni molto combattute e con un alto tasso di polarizzazione, che ha determinato un’ampia affluenza elettorale (74,4%). Esse chiudono una fase politica in Polonia, senza aprirne necessariamente una nuova. Lo scenario più probabile è infatti un governo di coalizione molto ampio. Prenderà il posto del principale partito che ha fin qui governato (Legge e Giustizia, PiS), il quale ha sì preso la maggioranza relativa dei voti (35,4%), ma non potrebbe governare nemmeno se si coalizzasse con la formazione di estrema destra Confederazione Libertà e Indipendenza (KWiN 7,16%), rivelatasi un flop rispetto alle attese della vigilia. Peraltro, questa possibilità era stata esclusa proprio da KWiN, le cui posizioni, contrarie all’invio di armi in Ucraina, sono incompatibili con quelle del governo uscente.
La coalizione vincente
La prima lista per risultato è Coalizione civica (KO, 30,7%), rappresentata dall’ex premier ed ex presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. Si tratta di una forza di centrodestra, ultraliberista ed europeista, aderente al PPE, del quale Tusk è stato in passato presidente. Segue Terza via (TD, 14,4%), anch’essa una formazione di destra, promotrice, per l’appunto, di una posizione distinta da PiS e KO, le forze che hanno polarizzato l’attenzione dei media in campagna elettorale. Infine, Sinistra (Lewica, 8,61%) è una lista che comprende forze socialdemocratiche, tra cui i lontani eredi del Partito Operaio Unificato Polacco, e di sinistra radicale. Nel ’19 Lewica ha ospitato anche candidati indipendenti del partito comunista (KPP).
Perde la destra sociale
Come si nota dai dati, il confronto politico in Polonia riguarda sostanzialmente due diverse idee di destra: quella uscente, del PiS, è una destra conservatrice, clericale (appoggiata dalla conferenza episcopale polacca), nazionalista ed euroscettica, collocata nel Parlamento europeo con i conservatori guidati da Giorgia Meloni. Si tratta soprattutto di una destra sociale: il suo programma di assegni familiari e di aumento delle pensioni ha attuato le prime misure di welfare in Polonia dai tempi del comunismo. Questa forza politica si è distinta in campagna elettorale per aver posto un embargo alla vendita di prodotti agricoli ucraini per tutelare la propria base elettorale. Gli elettori del PiS, collocati in gran parte nell’est del Paese, agricolo e sottosviluppato, sono in gran parte cittadini che hanno pagato il modello di sviluppo della globalizzazione, che – in Polonia come altrove – premia le grandi metropoli a scapito delle campagne e delle province. Molti tra essi sono persone anziane, mai del tutto integrate nella società dopo la transizione al capitalismo.
Vince la destra liberale
Al contrario, la destra rappresentata da KO è sempre stata ultraliberista. Nel 2015 perse le elezioni, tra le altre cose, perché si rifiutò di intervenire in una crisi determinata dalle banche che avevano imposto ai cittadini l’apertura di mutui in franchi svizzeri. Il ceto medio-basso, strangolato dai tassi di cambio, votò per il PiS. Inoltre, nel periodo in cui ha governato (2007 – 2013) la destra di Tusk non si è distinta per laicità, avversando la liberalizzazione dell’aborto e istituendo l’ora di religione nelle scuole. Secondo i commentatori, tuttavia, il suo programma si è fatto maggiormente laico dopo essersi collocata all’opposizione. Tradizionalmente KO riceve gran parte dei propri voti nell’ovest del Paese, ossia nella zona industrializzata che confina con la Germania, oltre che nelle grandi città. KO è l’Unione europea, la globalizzazione, la modernizzazione capitalistica. È stata anche, insieme a TD, la forza più votata dai giovani, esasperati dal clericalismo e dall’autoritarismo del governo del PiS.
La sinistra, fanalino di coda
In questo quadro, le prospettive della sinistra non sono floride. Nonostante sia indispensabile per il mantenimento della maggioranza, ha un programma progressista in gran parte incompatibile con l’ultraliberismo dei partner di governo, ed esce fortemente indebolita dalle elezioni, avendo perso oltre mezzo milione di voti.
Ideologia e comunicazione
spesso i media restituiscono un ritratto ideologico della Polonia. Essa è presentata – talvolta nel medesimo articolo – sia come paladina del mondo libero contro la Russia sia come uno Stato autoritario, in procinto di abolire la democrazia, i diritti delle donne e della comunità LGBTQ. Il governo del PiS è salutato come amico dei 3 milioni di sfollati generati dal conflitto e al tempo stesso utile idiota al soldo di Putin quando pone limiti all’importazione del grano ucraino. L’immagine estera della Polonia è fortemente negativa: tra gli elettori all’estero, KO è il primo partito con il 45,19%; segue il PiS (16,26%); Sinistra (14,49%), TD (12,18%); KWiN (8,97%). Ai due seggi del consolato di Milano si sono registrate code di un’ora, nel momento di massima affluenza. Certamente, avrà inciso sul voto l’ipocrisia di un governo nazionalista che ha fatto poco o nulla per i polacchi emigrati. Tuttavia, resta il fatto che il governo del PiS non gode di grandi sostenitori tra la stampa europea.
Il giudizio dei media sulla Polonia si basa in gran parte su elementi ideologici: il PiS è visto come una forza clericale e illiberale, trascurando il fatto che il suo principale competitor, KO, è comunque una forza di ispirazione cristiana che, negli anni in cui era al governo, non ha fatto nulla per tracciare un confine tra Stato e Chiesa, finendo per rimanere vittima della Conferenza episcopale nel momento in cui questa le ha preferito il PiS. Nella cultura polacca, i diritti delle donne e dei lavoratori sono stati assimilati al comunismo: così, gli uni e gli altri sono divenuti oggetto di satira.
Quel che i commentatori internazionali trascurano è il fondamento economico delle politiche sociali inaugurate dal PiS nel 2015; il tentativo di ridurre la disuguaglianza propria del modello di sviluppo UE; il limite incontrato dalle blande politiche di welfare del PiS dopo che l’epidemia di COVID e lo scoppio della guerra hanno messo in ginocchio l’economia del Paese.
Anche il conflitto del PiS con le istituzioni europee andrebbe interpretato nel quadro della tradizionale politica estera polacca, la quale vede sia la Germania sia la Russia come minacce potenziali. In questa chiave, la Polonia ha visto nelle imposizioni dell’Unione europea a trazione tedesca un tentativo di relegarla a un ruolo subalterno.
Bilancio del governo precedente
Per comprendere cosa è accaduto alle elezioni occorre un bilancio del governo del PiS. Questo partito è stato defenestrato perché avvertitocome un limite ad un ulteriore sviluppo delle forze produttive. Al principio del proprio governo, nel 2015, il PiS ha beneficiato dell’onda lunga di un periodo di rigoglioso sviluppo economico iniziato nel 2005, con l’ingresso della Polonia in Europa. I fondi europei hanno garantito la costruzione di infrastrutture strategiche come la rete autostradale e un recupero della rete ferroviaria; entrambe sono tutt’ora incomplete. Questa lunga fase è stata caratterizzata da una discesa costante del tasso di disoccupazione; il tasso di crescita medio annuo del 5% ha compensato l’inflazione e non si è interrotto nemmeno dopo la crisi dei mutui subprime del 2008. Questo quadro garantiva un’alta mobilità sociale: ai lavoratori, specialmente giovani laureati in discipline tecniche, era sufficiente cambiare lavoro per garantirsi stipendi più elevati e un tenore di vita migliore. Nel 2015 la vittoria del PiS è stata determinata da un periodo di turbolenze economiche: il modello di sviluppo polacco, improntato al laissez-faire, aveva generato forti disuguaglianze, specie tra ovest ed est del Paese e tra grandi metropoli e province. In realtà, il governo del PiS non ha realmente messo in discussione il liberismo; piuttosto, ha beneficiato di un’economia in perpetua crescita per garantire politiche di sostegno alla povertà e per entrare in conflitto con l’Unione Europea sulla riforma della giustizia, nel tentativo di assoggettarla al potere esecutivo. Da ottobre 2021 la Polonia ha maturato un debito in multe verso l’UE di oltre mezzo milione di euro.
Questo scenario è cambiato radicalmente a causa della guerra in Ucraina: la crescita si è rapidamente azzerata (era all’8,8% nel gennaio ’22, oggi è al -0,6%) e l’inflazione è aumentata fino al 12% (20% nel settore alimentare). Dopo il COVID la spesa sociale ha causato un’impennata del debito pubblico. In questo quadro, la destra liberista di KO ha battuto il PiS proponendo la pace con le istituzioni europee. Il rientro nel modello di sviluppo di Bruxelles non avrà un carattere esclusivamente economico, ma anche culturale: riguarda infatti il fronte dei diritti, duramente osteggiati dal governo precedente.
Prospettive
In realtà, nonostante la vittoria elettorale delle opposizioni, il futuro della Polonia rimane poco roseo per diversi motivi. Il motivo principale del declino economico attraversato dal Paese è la guerra, ma la nuova coalizione non ha intenzione di sospendere l’aggressivo confronto con la Russia. Un eventuale allineamento delle pensioni alle richieste europee non farà che peggiorare le condizioni di vita della popolazione anziana; il liberismo esasperato di KO aumenterà le diseguaglianze e la divisione tra la Polonia ovest, industriale, e la Polonia est, agricola; difficilmente la sinistra, che ha in programma il salario minimo, la realizzazione di case popolari e l’aumento della spesa sanitaria, potrà realizzare i propri obiettivi, dati i rapporti di forza con il resto della maggioranza. Questi nodi verranno presto al pettine, lasciando intravvedere qualche similitudine con lo scenario del secondo governo Prodi nostrano. Naturalmente è possibile che KO abbia appreso qualcosa dalla propria sconfitte del 2015, e che non tocchi le poche misure di welfare istituite dal governo precedente. Chi scrive ne dubita: in una situazione di crisi, la ragion d’essere della destra liberale è tutelare gli interessi della propria classe chiudendo i rubinetti aperti dal PiS, i quali, dal 2020 a oggi, non fanno che generare debito pubblico. Quand’anche questa convinzione si rivelasse un pregiudizio, è dubbio che KO possa risolvere i problemi strutturali della crescita polacca senza una ripartenza dell’economia. Forse, in pectore, Tusk auspica che il conflitto ucraino si risolva prima della fine del suo mandato. Dato l’ampio margine per lo sviluppo tutt’ora esistente in Polonia, un ritorno della pace potrebbe senz’altro garantire alla maggioranza maggiori margini di manovra.
* Docente di semiotica all’Università IULM di Milano; del Gruppo di Lavoro “Questioni internazionali e relazioni internazionali” del Centro Studi “Domenico Losurdo”