di Alessandra Ciattini*
“È opportuno tornare alla storia, almeno ricordandone gli avvenimenti più salienti, da cui si ricava che se Hamas è un gruppo terrorista, lo Stato di Israele può essere definitivo senza nessun problema con lo stesso aggettivo, dato che per definizione si tratta di uno Stato confessionale, privo di una Costituzione, che non ha mai rispettato le numerosissime risoluzioni delle NU, divenuto sempre più uno strumento della politica imperialistica statunitense”
Le reazioni dei governi del cosiddetto occidente collettivo e i loro super-controllati portavoce mediatici hanno il potere – come hanno già fatto per la guerra NATO-Ucraina – di stabilire dove comincia la storia, stabilendo ovviamente che il momento iniziale dello scontro è avvenuto il giorno che a loro fa può comodo; scelta che permette ad essi di nascondere le loro numerose e precedenti violazioni dei tanto celebrati diritti umani e del diritto internazionale spesso con la complicità dell’ONU.
Nello stesso tempo un’altra loro collaudata tecnica, impiegata da secoli da tutti coloro che debbono aver ragione a tutti i costi, consiste nella demonizzazione dell’avversario, ossia Hamas, coinvolgendo in questo tutta la popolazione della Palestina, e diffondendo notizie sempre più macabre e terribili, ma non verificate, come la decapitazione di inermi lattanti. Già in passato erano state diffuse simili informazioni quando furono a suo tempo additati a pubblico ludibrio i soldati iracheni, che in Kuwait avrebbero strappato dalle incubatrici alcuni neonati per farli morire sul pavimento durante la prima guerra del Golfo. La fonte della notizia non era una povera profuga ma addirittura la figlia dell’ambasciatore del Kuwait a Washington.
La demonizzazione di Hamas può esser fatta senza problemi perché non si ricorda – come ha fatto in questi giorni Seymour Hersch – che è stato proprio Israele a finanziare questa organizzazione terroristica (non meno terroristica dello stesso Israele) con lo scopo di creare divisioni all’interno della comunità palestinese, favorendo la contrapposizione con Al Fatah, altra fazione sconfitta alle elezioni del 2006, con l’obiettivo di ostacolare in tutti modi la formazione di uno Stato degli abitanti originari della regione, nonostante i numerosi accordi in questo senso.
Ormai dovremmo saperlo tutti, sono queste operazioni psicologiche (psyop), di guerra informatica, attacco informativo etc., di cui un buon esempio fu il CPI istituito da Woodrow Wilson nel 1917 [1], il cui scopo è alimentare un consenso tra le masse mondiali disorientate e stremate dalla cosiddetta policrisi o meglio crisi sistemica capitalistica, che sembra attorcigliarsi ogni giorno di più attorno ai nostri esausti corpi, stringendoci nelle sue spinose spire.
Proprio per questa ragione è opportuno tornare alla storia, almeno ricordandone gli avvenimenti più salienti, da cui si ricava che se Hamas è un gruppo terrorista, come si diceva, lo Stato di Israele può essere definitivo senza nessun problema con lo stesso aggettivo, dato che è per definizione si tratta di uno Stato confessionale [2], privo di una costituzione, che non ha mai rispettato le numerosissime risoluzioni delle NU, divenuto sempre più uno strumento della politica imperialistica statunitense. A questi significativi aspetti della politica di Israele possiamo aggiungere tutta una serie di diritti umani violati con nonchalance: come l’uso di armi proibite, per es., il fosforo bianco, le uccisioni immotivate (quali sono quelle motivate?) dei palestinesi, l’imprigionamento di minori, la chiusura dei palestinesi nella prigione a cielo aperto di Gaza, cui ora sono stati bloccati tutti gli approvvigionamenti nonostante il parere negativo delle NU, che i nostri media tacciono. Tuttavia, nelle ultime ore sembrava si stesse affermando da parte di molti, persino degli Usa, un invito alla moderazione al governo di Israele, le cui mosse avrebbero conseguenze imprevedibili. L’ex ministro degli Esteri francese Dominique de Villepin, per esempio, aveva dichiarato che il diritto alla difesa di Israele non equivale al diritto alla vendetta. Purtroppo, questa speranza è rapidamente svanita dal momento che proprio oggi (17 ottobre) il Consiglio di sicurezza delle NU ha respinto la proposta di un alt al fuoco della Frangia di Gaza, una delle zone più popolate al mondo, che quindi continua ad essere colpita costantemente da tonnellate di bombe e già praticamente rasa al suolo.
Un primo elemento che sembra importante menzionare è la dichiarazione di un personaggio odiato dai media occidentali che pure fece a suo tempo una dichiarazione veritiera. Mi riferisco a Mahmud Ahmanidezad, presidente controverso dell’Iran dal 2015 al 2023, il quale ebbe a dichiarare in un’intervista che i palestinesi, senza essere stati interpellati e non avendo in nessun modo partecipato all’olocausto (biecamente impiegato a fini propagandistici), stanno pagando le colpe commesse nei secoli dalle potenze occidentali, le quali hanno vessata nei secoli e in tutti i modi la comunità ebraica. Forse sarebbe dovuto più equamente toccare alla Germania fornire ai sionisti un’amena vallata.
Credo sia alquanto noto che dai primordi del Cristianesimo gli ebrei sono stati definiti un popolo deicida, qualificativo da cui scaturivano aggettivi ugualmente orribili, definizione che stata abolita solo con il decreto Nostra Aetate nel 1965, nell’ambito del Concilio Vaticano II, ma ancora oggi in gran parte del cosiddetto occidente essi continuano ad esser bersaglio di insulti e maltrattamenti – non risparmiati nemmeno agli islamici -, benché l’élite ebraica, comprendente banchieri, famosi investitori, scienziati, faccia parte a pieno titolo di chi governa il mondo. Dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme (70 d. C.) ad opera dei Romani il popolo ebraico si diffonde in tutto il bacino del Mediterraneo dove non trova una patria sicura, dal momento che subisce discriminazioni, è costretto a vivere nei ghetti, viene cacciato dalla Spagna e dal Portogallo, tenuto sotto controllo dall’Inquisizione, e non può nemmeno trasferirsi nel Nuovo Mondo appena conquistato. È in particolare con il Concilio di San Giovanni in Laterano del 1215 che la loro condizione viene ulteriormente peggiorata, mentre parte degli ebrei continua a vivere in Oriente nei paesi islamici dove pagando una tassa speciale poteva godere di certe libertà.
La storia degli ebrei, sottoposti alla dolorosa diaspora, vissuta d’altra parte anche dai palestinesi (Nabka), viene interpretata da molti e anche a scopo propagandistico come un percorso in termini religiosi che li avrebbe dovuti ricondurre alla Terra promessa dalla divinità, dando vita al sionismo non condiviso nemmeno da tutti gli stessi ebrei. A questo punto si potrebbe dire che l’olocausto (che poi non ha certo riguardato solo gli ebrei) non è certo spuntato all’improvviso, ma è stato il risultato di un processo fatto di soprusi e di denigrazioni durato secoli, fino a quando si sono individuati gli ebrei come il capro espiatorio di una grave crisi. Con le conseguenze che conosciamo.
D’altra parte, come sappiamo nel caso della costituzione delle varie nazioni, compreso Israele, esse sono sempre un prodotto artificiale (V. E. Hobsbawm, Nazioni e nazionalismo dal 1780. Programma, mito, realtà, 2002), il cui sorgere è favorito da un’autorità centrale che omogeneizza la lingua, i costumi, la religione, anche con la repressione; a dimostrazione di ciò basti ricordare come l’Europa, dominata da secoli da Stati nazionali, sia costellata da minoranze nazionali che non hanno voluto scomparire e talvolta rialzano pure la testa. Come si diceva questa considerazione vale anche per Israele, anche perché non tutti – israeliani compresi – sono convinti che sia esistita una nazione ebraica da Mosè in poi. Mi riferisco, in particolare allo storico israeliano (Shlomo Sand, L’invenzione del popolo ebraico, 2008), il quale sostiene che la presenza di comunità ebraiche sefardite nell’Africa settentrionale e in Spagna, e degli ebrei ashkenaziti nell’Europa centrorientale, quella di tribù berbere convertite e dei famosi kazari, di origine turca fondatori di un importante regno sul Volga divenuti successivamente ebrei, dimostrerebbero la non unicità etnica del popolo che pratica il culto di Jahvè.
La prima conclusione è, dunque, a mio parere, che certamente non si può condividere l’idea che la Palestina appartenga agli ebrei in quanto promessa da dio, e d’altra parte pare arduo sostenere che dai tempi di Mosè, nel contesto di rivolgimenti storici radicali, si sia perpetuata una comunità ebraica granitica, che nei secoli abbia mantenuto tutti i suoi diritti sulla Palestina, già chiamata così dai Romani, che fu islamizzata nel VII secolo.
Se questo ragionamento ha la sua validità, bisognerà andare ad esaminare dove stanno le motivazioni reali che hanno spinto le allora potenze coloniali a cedere una terra non loro, e più volte riconosciuta tale dalle organizzazioni internazionali, alle vittime dell’olocausto. E pertanto non ci si potrà esimere dall’analizzare, sia pure rapidamente, quando accadde Il 16 maggio 1916, quando il parlamentare britannico Mark Sykes e il diplomatico francese George Picot firmarono a Londra l’accordo segreto, reso noto dai bolscevichi, sulla spartizione delle aree mediorientali tra Francia e Regno Unito, che prevedevano tuttavia una zona indipendente sotto il dominio degli arabi, in cambio del loro appoggio contro l’Impero ottomano. In realtà, l’accordo Sykes-Picot fu solo il primo di numerosi accordi succedutisi negli anni, tra i quali si ricordano le trattative per la costituzione dello Stato sionista, la conseguente spartizione della Palestina del 1947 e il suo continuo smembramento da parte di Israele. Il risultato di questi continui ripensamenti (San Remo 1920, Sèvres 1920, il Cairo 1921, Losanna 1923) è stata la frammentazione artificiale del mondo arabo, che – come i paesi dell’America Latina – condivide una stessa lingua e una stessa cultura. Per i propri interessi politici ed economici, nonostante mille promesse fatte a tutti i popoli del Medio Oriente, Francia e Regno Unito hanno bloccato lo sviluppo del Movimento nazionale arabo di natura aconfessionale, successivamente apertosi al socialismo, sorto per emanciparsi dal dominio ottomano. Il più grande ostacolo a questo processo è stato il via libera allo Stato sionista di Israele, concessogli dunque non per risarcirlo, ma per metterlo a guardia di subordinati indisciplinati e di proprietari potenziali di preziose risorse.
Note:
[1] Agenzia del governo statunitense istituita con l’obiettivo di convincere la popolazione che il paese deve partecipare alla Prima guerra mondiale.
[2] Dal 2018 sono cittadini di Israele solo gli ebrei.
* Già docente universitaria alla “Sapienza “di Roma; del Centro Studi Nazionale “Domenico Losurdo”.