In occasione dell’uscita del sito web del Centro Studi Nazionale “Domenico Losurdo” rilanciamo (consigliandone vivamente a tutti la lettura e lo studio) il fondamentale saggio del grande filosofo, storico, Professore Emerito presso l’Università di Urbino e militante comunista Domenico Losurdo, “Il marxismo occidentale, come nacque, come morì, come può rinascere”, uscito nel 2017 e che Fosco Giannini, nello stesso 2017, recensì. Una recensione, quella che pubblichiamo di seguito, richiesta esplicitamente da Losurdo a Giannini e che lo stesso Losurdo, prima che venisse pubblicata, lesse e “licenziò”.
Recensione a cura di Fosco Giannini
Inizio questa mia recensione all’ultimo – importantissimo, al fine di un rilancio d’un pensiero e di una prassi comunista, antimperialista, rivoluzionaria in Italia e in Occidente – libro di Domenico Losurdo (“Il marxismo occidentale – Come nacque, come morì, come può rinascere”, edizioni Laterza, prima edizione aprile 2017 e già alla seconda edizione) mettendo in campo alcuni ricordi personali.
- Ricordi di un recensore non accademico
Il metodo non è, accademicamente, dei più ortodossi, ma l’eterodossia mi sarà forse perdonata se riuscirò a renderla funzionale a un obiettivo: dimostrare come la degenerazione del “marxismo occidentale”, che ha segnato e segna, purtroppo, di sé una parte considerevole anche del marxismo italiano, sino a divenire egemonica, abbia trovato nel “marxismo orientale” un proprio, primario, nemico; come Domenico Losurdo si sia da decenni collocato e tuttora si collochi – con grande coraggio intellettuale e rischiando la solitudine filosofica e politica – sul fronte del marxismo orientale (tanto per non seminare equivoci: sul fronte materialista, marxista e leninista) e come questa collocazione lo abbia – consapevolmente – posto perennemente sotto il fuoco di tutta l’ala dominante – quanto liquidatoria della prassi comunista – del “marxismo occidentale” italiano.
Primo ricordo: erano gli anni dello “strappo” di Enrico Berlinguer con l’Unione Sovietica, dello “strappo” definitivo – soprattutto- del PCI con il “marxismo orientale”; gli anni “dell’esaurimento della forza propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre”; dell’eurocomunismo; della scelta berlingueriana “dell’ombrello della NATO”. Un gruppo di straordinari compagni del nord d’Italia, di stampo leninista – Alessandro Vaia, Sergio Ricaldone, Arnaldo Bera, Giuseppe Sacchi, assieme a Ludovico Geymonat , Ambrogio Donini e altri – iniziavano ad organizzare, attorno alla rivista “Interstampa”, una battaglia politica contro la deriva “radical” del PCI (che sarebbe poi, inevitabilmente, in virtù d’una dialettica degenerante oggettiva – sfociata nella trasformazione “liberal” nel PD) che segnava sciaguratamente di sé l’ultima fase della storia del Partito che era stato di Gramsci e Togliatti.
Militavo, allora, in una sezione del PCI di Ancona ed ero già membro della redazione nazionale di “Interstampa”. Con la mia stessa posizione politica vi era un gruppo sparutissimo di giovani, molto denigrati, molto emarginati, dal gruppo dirigente locale del PCI.
Un giorno, uno degli esponenti di spicco dell’ala “bassoliniana”” del PCI (confine incerto con l’ala “ingraiana”) ci disse: “So che il professor Losurdo sta con voi. Andiamo bene! Invece di abbattere ogni dogmatismo, ogni filosovietismo, al fine di costruire un partito moderno (disse proprio così: “moderno”, mutuando lo Scalfari-pensiero), voi vi rifugiate nel pensiero antico di cattivi maestri come Losurdo. E quando lo costruiamo ‘sto partito moderno, con voi!”. In verità, quel partito “moderno”, sotto la poderosa spinta del “marxismo occidentale” e della sua dialettica degenerante, stava già crescendo, come un fiume in piena, all’interno del PCI, e da lì a poco quel flusso melmoso avrebbe portato ad Achille Occhetto e alla “Bolognina”.
Secondo ricordo: sin dalla primissima fase entrai a far parte della redazione di “Liberazione”, il quotidiano di Rifondazione Comunista. L’esperienza fu breve, ma mi permise di costruire un rapporto profondo con il giornale, per il quale, infatti, scrissi molto e per molto tempo. Ciò mi permise anche di avere relazioni e conoscenze con l’intera redazione del giornale. Nella fase del massimo sviluppo del PRC e sotto la monarchia bertinottiana, mi accorsi – fatto dopo fatto – di quanto la degenerazione del “marxismo occidentale” andasse corrompendo la natura politica di “Liberazione”, come di tutto il PRC. Tale degenerazione si constatava, innanzitutto, a partire dalle posizioni che il giornale di Rifondazione andava assumendo sulle questioni internazionali, a partire da Cuba, ormai trattata come l’avrebbe fatto “Il Corriere della Sera”. L’assunzione totale dell’eurocentrismo, con l’inevitabile rimozione della questione colonialista e imperialista (questione centrale, questa, del libro di Losurdo sul “marxismo occidentale”, di cui stiamo parlando) rendeva già il PRC, sul piano internazionale, quasi perfettamente speculare al PDS di Occhetto. In questo contesto – ricordo bene – gli articoli di Losurdo, su “Liberazione”, erano banditi. Contro di lui c’era un ordine superiore. Per poter chiedere la pubblicazione di un suo articolo o di una recensione di un suo libro c’era da fare una battaglia campale…
Terzo ricordo: sono stato direttore de “ l’ernesto” – la rivista attorno alla quale si organizzava la vasta, forte, area nazionale che, all’interno del PRC, si batteva contro la degenerazione del “marxismo occidentale” di stampo oggettivamente anticomunista (come la cronaca politica avrebbe poi ampiamente dimostrato) guidata da Bertinotti – per circa dieci anni. Losurdo era per me, come direttore de “l’ernesto”, ed era per noi tutti, un punto di riferimento teorico e politico centrale. Veramente, non per tutti. Vi erano almeno un paio di dirigenti nazionali dell’area politica de “l’ernesto”, dirigenti di primissimo piano, che erano contrari a Losurdo, contrari al fatto che i suoi articoli apparissero sulla rivista. Questi due altissimi dirigenti esercitavano spesso su di me – direttore – una pressione fortissima affinché gli scritti di Losurdo non venissero pubblicati. Una pressione che era sempre respinta, naturalmente, ma a costo di scontri politici e personali pesanti.
Ciò che occorre dire è che ora, questi compagni che in quegli anni erano contrari a Losurdo, o hanno abbandonato la militanza politica o sono entrati nella Sinistra Italiana, abbandonando il progetto della ricostruzione del partito comunista in Italia. Ed è probabile che in questa loro scelta attuale risieda anche l’essenza ideologica e politica della loro precedente contrarietà a Losurdo. Contrarietà al “marxismo orientale”? Al leninismo, all’antimperialismo e all’anticolonialismo conseguenti? C’è da dire, a supporto di quest’ultima ipotesi, che la critica sferzante che Losurdo ha sempre condotto contro l’imperialismo e il neo colonialismo d’Israele (specie ai danni del popolo palestinese), critica ampiamente sviluppata e sistematizzata nel suo ultimo libro, all’interno della lotta ideologica contro il “marxismo occidentale”, spaventava quel paio di dirigenti dell’area de “l’ernesto”, che forse anche a partire da ciò, finivano per essere detrattori di Losurdo.
Quarto ricordo: da senatore della repubblica avevo conquistato una certa popolarità e, in relazione ai temi della guerra imperialista in Afghanistan, ai temi della lotta contro la base USA a Vicenza e contro la NATO i miei articoli venivano spesso ospitati anche da “il Manifesto”. Ciò mi dette la possibilità di costruire relazioni importanti con una parte della redazione del giornale. E, col tempo, mi dette la possibilità di verificare l’ostilità profonda, direi viscerale, che la maggioranza de “il Manifesto” nutriva contro Losurdo. Ciò per me fu ancora più chiaro dopo una lunga conversazione, telefonica, con la compagna Rossana Rossanda che, disinvoltamente, liquidava il pensiero di Losurdo come “stalinista”, tout- court. Per correttezza, debbo dire che Lucio Magri non era dello stesso parere della Rossanda; ad esempio: ebbi con lui una lunghissima discussione tre giorni prima della sua morte e, tra le tante “eredità”, lasciatemi, una mi colpì: “ Io – a differenza di altri miei compagni di strada – non sono mai stato né antistalinista né antisovietico, ma sono stato critico dello stalinismo e dell’URSS. C’è una bella differenza”. E, andando oltre: “Sono certo, senza false modestie, che se fossi stato io il segretario del PRC, esso non sarebbe finito ai confini dell’anticomunismo, come oggi accade”. A constatare, oggi, come “il Manifesto” faccia fatica ( al di là degli articoli di Geraldina Colotti) a comprendere l’essenza della controrivoluzione in atto in Venezuela e, conseguentemente, come faccia fatica a comprendere l’esigenza e la liceità politica e morale, da parte di Maduro, della difesa del potere rivoluzionario, si capisce meglio l’ostilità del giornale verso Losurdo, che, infatti, scrive nel suo libro di cui stiamo parlando, a pagina 159: “ La rottura del marxismo occidentale con la rivoluzione anticoloniale è anche il rifiuto di farsi carico dei problemi in cui questa si imbatte con la conquista del potere. Anche a tale proposito chiaro è il contrasto tra marxismo occidentale e orientale. Assuefatto al ruolo di opposizione e di critica in varia misura influenzato dal messianesimo, il primo guarda con sospetto o riprovazione al potere che il secondo è chiamato dalla vittoria della rivoluzione a gestire. È il potere in quanto tale a essere oggetto della requisitoria del giovane Bloch”.
Il giovane Bloch che infatti scriverà che il potere è male in sé, indipendentemente dalla natura del potere, rivoluzionario o borghese, anticipando così un’intera schiera di intellettuali, filosofi, dirigenti politici del marxismo occidentale, volti a spaccare il capello della critica in sedici, rispetto alle esperienze dell’Unione Sovietica, della Cina popolare, dei poteri costruiti dalle vittorie anticolonialiste, critiche che finivano spesso nella liquidazione di quelle stesse esperienze, senza mai, peraltro, sviluppare autocritiche in relazione all’abbandono, di fatto, dei progetti rivoluzionari del marxismo occidentale nel proprio campo d’azione. Per ricordare: che senso ideologico aveva il rifiuto tenace, da parte di Bertinotti, di riconoscere alla resistenza irachena, nella fase alta dell’attacco a terra degli USA e della NATO in Iraq, lo status, appunto, di “resistenza”? Persino Raniero La Valle aveva, senza dubbi alcuni, definito la lotta del popolo iracheno contro i marines occupanti, lotta di resistenza. È del tutto chiaro da dove provenisse la reticenza di Bertinotti: da un angolo visuale coniato all’interno stesso della cultura occidentale, dal marxismo occidentale, così come lo mette magistralmente in chiaro Losurdo. Saddam Hussein non era simpatico a Bertinotti, non rispondeva in nessun modo al prototipo di dirigente politico occidentale che aveva in testa l’allora segretario del PRC. Così come Gheddafi non piaceva a Paolo Ferrero, che si spingerà, dopo l’attacco imperialista alla Libia del 2011, a manifestare, assieme ai militanti del re Idris, non di fronte all’ambasciata USA a Roma, ma di fronte – perché? – all’ambasciata libica.
- La questione del potere
Nel passaggio citato di Losurdo, relativo alla differenza della concezione del potere tra marxismo occidentale e marxismo orientale, si addensa in modo paradigmatico buona parte del senso generale dell’opera losurdiana di cui stiamo parlando: il marxismo occidentale tende, in molte sue manifestazioni, specie quelle relative al campo internazionale, ad affrancarsi dalla realtà concreta delle cose, a perdere di vista la materialità dura dei processi, ad incensarsi e liquefarsi nella fraseologia pseudorivoluzionaria e, tutto ciò, a partire dall’enfatizzazione/interiorizzazione dell’occidente e dell’eurocentrismo e dalla conseguente rimozione sia dell’intero e vasto mondo esterno all’Occidente che delle disumane sofferenze dei popoli colonizzati e delle loro lotte, che assurgono oggettivamente a valore rivoluzionario proprio in virtù della loro natura anticolonialista e di liberazione nazionale. Un valore questo, tuttavia, non riconosciuto dal marxismo occidentale, troppo impegnato a giudicare le lotte anticolonialiste attraverso il prisma idealistico della scarlatta “perfezione rivoluzionaria”, per comprendere il valore rivoluzionario d’una liberazione nazionale dal giogo nazionalista; il valore rivoluzionario della costruzione di un potere e di uno Stato sorti dalla lotta anticolonialista; il valore rivoluzionario della difesa – anche attraverso la forza- di un potere di questo tipo; il valore rivoluzionario di un processo volto allo sviluppo delle forze produttive – magari un processo misto, dato dall’insieme di socialismo e mercato – in un Paese pre-capitalistico ma volto alla transizione (concreta e non a chiacchiere) al socialismo.
Anche nella citazione che Losurdo fa del giovane Bloch, che definisce il potere diabolico in sé, si esprime l’essenza del lavoro del nostro filosofo, che è anche una lunga cavalcata all’interno dell’intero marxismo occidentale.
Prima di entrare dentro l’opera di Losurdo, una notazione, certo non marginale: alla fine dei conti un libro è un libro è un libro ed è innanzitutto sostenuto dalla propria impalcatura semantica. Ecco, le pagine di Losurdo sono di una nettezza linguistica, d’ una pulizia – nella spessa densità del discorso – da indurci ad una considerazione: questo è il semplice che è difficile a farsi e ciò capita, come sappiamo sin dal “Manifesto del Partito Comunista” del 1848, quando le idee dell’autore sono chiare, sono giunte a totale maturazione.
Ma, ora, affrontiamo in modo diretto il libro di Losurdo. A pagina 65 vengono riportate dall’Autore due affermazioni – l’una di Lenin, l’altra di Gramsci – che, da sole, esprimono il senso ultimo del lavoro di Losurdo, evocando con forza la critica al marxismo occidentale. “ Lenin richiama l’attenzione – scrive Losurdo- sul fatto che, agli occhi dell’Occidente, le vittime delle guerre e dell’espansionismo coloniale non meritano nemmeno l’appellativo di popoli (sono forse popoli gli asiatici e gli africani?”); in ultima analisi , esse, sono escluse dalla comunità umana. Ancor più esplicito è Gramsci. Scrivendo negli anni ‘30 egli osserva: persino per un filosofo come Henry Bergson, “in realtà umanità significa Occidente”; ed è in tal modo che argomentano i campioni della “difesa dell’Occidente” …la cultura dominante in Occidente. Il comunismo, invece, è sinonimo di umanesimo integrale, di un umanesimo che sfida l’arroganza dei “bianchi superuomini”.
Qui c’è il cuore del discorso losurdiano, la sua critica al marxismo occidentale: il marxismo dell’Occidente non ha saputo uscire dalla propria religione bianca; non ha saputo evitare che il contesto ideologico in cui è nato lo segnasse di sé; non ha saputo essere i popoli extra occidentali oppressi dall’imperialismo e dal colonialismo, cosicché ha guardato il mondo grande ed esterno all’Occidente con gli occhi – infine -dello stesso Occidente; ha guardato al di là dell’Occidente con occhi sì critici verso il capitalismo ma non capaci di vedere il mondo grande extra occidentale. Da qui, da questa essenziale distorsione iniziale, sono sorte le critiche – sempre più estese, organizzate, ramificate, “raffinate” – ai modi in cui si conducevano le lotte anticolonialiste; ai modi in cui si prendeva il potere; ai modi in cui i popoli e gli Stati liberatisi dal colonialismo difendevano il potere conquistato; ai modi in cui i Paesi pre-capitalisti liberatisi sviluppavano le forze produttive. Quante volte abbiamo sentito definire- dalle stesse aree del marxismo occidentale – la Rivoluzione d’Ottobre come un “golpe”, per sminuirne il valore e retrodatarne il supposto “avvitamento burocratico e totalitario”? Quante critiche si sollevano, anche ora (o soprattutto ora, essendo la critica alle vittorie concrete del socialismo concreto lo sport preferito, spesso, dalle “avanguardie” del marxismo occidentale) contro l’attuale sviluppo cinese? I compagni de “il Manifesto” – con in testa la Rossanda – avevano fatto della critica all’Unione Sovietica, al suo “capitalismo di stato”, alla sua “burocratizzazione” la loro stessa carta d’identità, rimuovendo il fatto – gigantesco – che la stessa presenza dell’URSS nel mondo, il ruolo attivo dell’URSS, avevano provocato, nel secondo dopoguerra, un titanico, planetario, processo di liberazione dei popoli in senso anticolonialista. Ma, ecco il punto: se dei comunisti, seppur intellettualmente raffinati, non escono dalla loro fonte battesimale ideologica occidentale, non possono assolutamente vedere i moti tellurici del tempo, le rivoluzioni anticolonialiste e si attardano, invece, nella ricerca spasmodica di ciò che in quelle rivoluzioni non somiglia al sistema borghese. Abbandonandosi ai loro sogni alla Bouvard e Pécuchet.
Su quale base materiale Losurdo costruisce la critica al marxismo occidentale? Attraverso un procedimento semplice e – appunto – concreto: analizzando il pensiero dei maggiori esponenti dello stesso marxismo occidentale.
- Un istruttivo viaggio nel marxismo occidentale
Il viaggio che Losurdo compie attraverso tutto il pensiero marxista occidentale è un atto da scuola-quadri superiore, indispensabile per costruire un nuovo senso comune rivoluzionario, in antitesi con quelle incrostazioni che oggi deformano la coscienza di troppi comunisti ancora sotto il giogo dello stesso marxismo occidentale. Non è possibile ripercorrere le cento stazioni della via crucis lungo la quale è nato e morto il marxismo occidentale e che Losurdo mette in luce. Possiamo solo dire, al cospetto di tanta ricchezza filosofica e politica, che ogni militante comunista occidentale, e specificatamente italiano (probabilmente uno dei più esposti alla malattia del marxismo occidentale), deve leggere e studiare il libro di Losurdo.
Di tutta la ricchezza analitica di Losurdo facciamo, qui, solo degli assaggi. Nello stesso incipit del suo libro l’Autore ci avverte che la stessa locuzione di “marxismo occidentale” deve la sua fortuna ad un libro con il quale nel 1976 il filosofo inglese Anderson, trotskista, invitava il marxismo occidentale a dichiarare la sua totale estraneità e indipendenza rispetto alla “caricatura di marxismo” dei paesi ufficialmente marxisti, tutti collocati ad Est. Sia l’URSS che la Cina popolare erano duramente presi di mira da Anderson. E dobbiamo dire, col senno del poi, che il pensiero di Anderson ne ha fatta di strada, tra i marxisti occidentali, sino a divenire egemone, sino a porsi come base materiale persino dello scioglimento di grandi partiti, come il PCI. E dobbiamo prendere atto, infine, di come il trotskismo, in Occidente, benchè debolissimo sul piano organizzativo e senza importanti rapporti di massa, abbia sprigionato un effetto dominante sull’intero marxismo occidentale. Nonostante dighe formidabili come quelle di Gramsci, Togliatti e del “secondo” Lucaks.
Dall’analisi complessiva del pensiero degli intellettuali, dei filosofi, dei dirigenti politici di prmissimo piano dell’intero marxismo occidentale dispiegata da Losurdo, emerge, in rozza sintesi, il seguente prospetto: il marxismo occidentale non capisce, non “sente” la centralità delle lotte e delle rivoluzioni anticolonialiste e antimperialiste portate avanti dai popoli, dalle avanguardie e dai partiti comunisti del “mondo grande” (come direbbe Gramsci) esterno all’Occidente. Non le capisce perchè le misura con il metro culturale occidentale e della democrazia borghese, ratificando in questo modo la propria subordinazione filosofica e ideologica alla stessa cultura imperialista.
E’ da questa postazione sbagliata che il marxismo occidentale – invece che mettere a valore, anche sul piano teorico, le lotte di liberazione dei popoli – tenta cocciutamente di scandagliarle con la diagnostica occidentale; da qui la condanna di “totalitarismo” che il marxismo occidentale scaglia contro le rivoluzioni anticolonialiste e antimperialiste, contro l’URSS, contro la Cina popolare, contro Cuba e via dicendo; da qui l’accusa di “burocratizzazione” del potere, accusa che prende sostanzialmente le mosse da un paradosso, quello dell’interiorizzazione della democrazia borghese come unica democrazia, che spinge il marxismo occidentale ad avere paura dei poteri rivoluzionari concretamente costituitisi; da qui l’accusa di “mercificazione” del socialismo rispetto ai quei progetti – essenziali ai fini rivoluzionari – volti, nei Paesi delle vittorie anticolonialiste, allo sviluppo delle forze produttive; da qui “ l’orrore” piccolo borghese più volte dimostrato dal marxismo occidentale in relazione alle difese dei poteri rivoluzionari: che differenza c’è, infatti, tra l’analisi che ha svolto “la Repubblica” rispetto a Piazza Tienanmen da quella fatta dal PRC di Bertinotti e di quasi tutta la sinistra italiana? E ancora: non sarebbe diversa, oggi, la storia del mondo se Gorbaciov, invece di perdersi nell’accidia della cultura occidentale, avesse difeso con la forza, con l’Armata Rossa, l’integrità ed il ruolo dell’Unione Sovietica, invece di regalarla a Eltsin, già genuflesso ai voleri imperialisti? Che fine hanno fatto le lezioni della Rivoluzione francese, della Comune di Parigi, dell’Ottobre, della Lunga Marcia, di Ho Chi Minh, di Fidel, di Che Guevara?
La Fortuna ha voluto (quella machiavellica, quella che si conquista sul campo, quella che i popoli e gli Stati hanno meritato con le loro lotte antimperialiste, anticolonialiste, costruendo e difendendo i poteri e sviluppando le loro economie) che dopo la scomparsa dell’URSS si materializzassero sul fronte internazionale i BRICS, nuovo argine antimperialista. I BRICS che – al solito – non piacciano troppo all’attuale marxismo occidentale, poichè troppo distanti dalla cultura occidentale, troppo “totalitari” e volti ad economie troppo miste, non puramente socialiste…
- Ripensare la storia del PCI
Losurdo ha svolto un lavoro intellettuale che dovrebbe essere stato d’una grande durezza (ora comprendiamo meglio il nostro filosofo quando, già una decina d’anni fa, ci diceva: “non fatemi girare troppo, tra convegni e dibattiti, risparmiatemi un po’, poiché vorrei dedicare questa parte della mia vita a studiare e scrivere. E, alla luce di quanto ha prodotto, quanto aveva ragione!): viaggiando tra tutta l’intellighenzia marxista occidentale ha costruito il filo coerente che ci consente di parlare legittimamente di marxismo occidentale, comprendendone la natura.
Ecco cosa afferma il filosofo marxista francese Maurice Merleau-Ponty, già nel 1955: “ La politica rivoluzionaria, che nella prospettiva del 1917 doveva storicamente subentrare alla politica “liberale” è invece sempre più diventata una politica di paesi nuovi, il mezzo per passare da economie semicoloniali ai moderni modi di produzione. L’immenso apparato da essa costruito, con le sue regole e i suoi privilegi, nel momento stesso in cui si dimostra efficace per impiantare un’industria o mettere al lavoro un proletariato ancora vergine, indebolisce il proletariato come classe dirigente…”. Ha bisogno forse di un commento, tale affermazione? L’arroganza eurocentrica e la rimozione della questione della lotta anticolonialista si dichiarano da sole…
E Max Horkheimer, il filosofo della Scuola di Francoforte tanto amato da un’intera schiera di neo comunisti italiani, sessantottini e post sessantottini, occhettiani, cosa afferma già nel 1942? Dice che i comunisti sovietici avevano abbandonato “la prospettiva della soppressione degli Stati” per concentrarsi sul problema dello sviluppo accelerato. E – nota – Losurdo – dice ciò mentre la Wehrmacht era alle porte di Mosca. Letta ora, la critica di Horkheimer, alla luce di ciò che è stato il nazifascismo e alla luce di quale contributo decisivo abbia dato l’URSS per sconfiggerlo, quelle parole sembrano ridicole. Tuttavia, resta il fatto che esse sono penetrate nelle fibre profonde di tutto il marxismo occidentale, la Rossanda potrebbe anche ora probabilmente ripeterle. E questo – il danno ideologico, pervasivo e permanente prodotto – è appunto il problema del marxismo occidentale.
E l’Althusser – nota Losurdo – che pontifica (contro il materialismo dei processi storici e dei movimenti reali di Marx ed Engels) su di un movimento reale come opera di “rotture epistemologiche”, sulla scorta dello stesso Galvano Della Volpe, non contribuisce anch’egli alla formazione di una rottura profonda col marxismo orientale, con Lenin, con l’Ottobre e con tutte le rivoluzioni anticolonialiste?
E il filosofo italiano Mario Tronti, secondo il quale – in antitesi netta con Gramsci – “l’universalismo è la visione borghese classica del mondo e dell’uomo”, non partecipa in modo considerevole alla rimozione delle categorie stesse di internazionalismo e di antimperialismo sottraendo, conseguentemente, valore alle lotte anticolonialiste e alla solidarietà totale ad esse? Nel Tronti così arrogantemente anti universalista si nasconde, in verità, una prigionia filosofica all’interno delle sbarre dell’occidentalismo e dell’eurocentrismo: sarà solo la classe operaia europea che potrà affrancare il mondo dalle catene del capitale? L’operaismo aristocratico ed occidentale di Tronti risponde di sì. Come per l’eurocomunismo (lo vedremo più avanti), la grande classe operaia mondiale, il vastissimo proletariato internazionale non hanno nessun compito storico.
Nello “Spirito dell’utopia”, scrive Losurdo, nè la Rivoluzione d’Ottobre né quella cinese, che cambiano letteralmente il mondo e la storia di tutti i popoli oppressi, sembrano scaldare più di tanto Bloch, l’autore, che si preoccupa molto di più del fatto che nei due Paesi non si vada estinguendo lo Stato e che non vada nascendo “l’uomo nuovo”.
Bakunin, Jean Paul Sartre, il primo Lukacs, Adorno, Bobbio, Foucault, Hannah Arendt, Timpanaro, Toni Negri, Zizek, Badiou: sono anch’essi rivisitati nel profondo da Losurdo, e in tutti il nostro filosofo mette in luce gli elementi costitutivi del marxismo occidentale: una restrizione del campo visivo filosofico che costringe lo stesso marxismo occidentale a chiudersi nel ridotto occidentale ed eurocentrico, causa prima della rimozione delle questioni dell’imperialismo e del colonialismo, causa centrale dell’involuzione provincialista del marxismo occidentale.
Lo stato di salute – politica, filosofica – è oggi, per il marxismo occidentale, gravissimo. Scrive Losurdo, in occasione della guerra imperialista e neo colonialsta contro la Libia, 2011: “Non mi risulta che ci sia un esponente di rilievo del “marxismo libertario occidentale” che abbia denunciato tale orrore. Anzi una personalità (Rossana Rossanda) che, quale fondatrice di un “quotidiano comunista” (“il Manifesto”) può ben essere inserita nell’ambito del “marxismo occidentale” ovvero del “marxismo libertario occidentale”, si è spinta sino alla soglia dell’invocazione dell’intervento armato contro la Libia di Gheddafi…”.
E, qualche anno prima – 1999- era stato Hardt, il coautore, con Negri, de “L’Impero”, a scrivere, rispetto alla guerra USA-NATO contro la Jugoslavia, scatenata senza nemmeno l’autorizzazione dell’ONU: “Dobbiamo riconoscere che questa non è un’azione dell’imperialismo americano. È in effetti un’azione internazionale…e i suoi obiettivi non sono guidati dai limitati interessi nazionali degli USA: essa è effettivamente finalizzata a tutelare i diritti umani…”.
Tutto ciò, specie l’adesione alle guerre imperialiste, specie in questa fase caratterizzata dalla preparazione di una guerra dal carattere strategico contro la Cina – scrive Losurdo – rappresenta il certificato di morte del marxismo occidentale. Che, se potrà rinascere, lo potrà solamente riassumendo totalmente i caratteri dell’antimperialismo e dell’anticolonialismo conseguenti.
Certo è che quest’opera di Losurdo dovrebbe costringere ogni comunista italiano intellettualmente onesto a rivedere sino in fondo alcune tappe decisive della storia finale del PCI e dell’intero movimento comunista italiano: non si può più arzigogolare sulla natura profonda dello “strappo” operato da Berlinguer con l’Unione Sovietica: esso era propedeutico a collocare stabilmente il PCI nell’area della socialdemocrazia europea; non si potrà più tergiversare sull’essenza politica e teorica dell’affermazione relativa all’ “esaurimento della spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre”: non è affatto vero che essa evocava una critica da sinistra alle contraddizioni sovietiche, essa era funzionale, propedeutica, alla rottura, da parte del PCI, non solo con l’URSS ma con l’intero movimento comunista mondiale e con la sua cultura (mutuando storicamente, peraltro, un altro cavalo di Troia ideologico: la rottura della socialdemocrazia tedesca degli ultimi anni dell’ottocento, quando, dichiarando esaurita la spinta propulsiva della Comune di Parigi, essa prendeva la strada della propria trasformazione da partito ancora di classe in quella socialdemocrazia tedesca novecentesca che avremmo poi conosciuto); non si può più mistificare l’essenza politica e ideologica dell’eurocomunismo: esso dava vita ad una superfetazione della classe operaia europea che, rimuovendo totalmente anche la concezione leninista di “classe operaia aristocratica”, cancellava il ruolo rivoluzionario del proletariato mondiale, delle lotte anticolonialiste, delle esperienze socialiste, comuniste, rivoluzionarie del “grande mondo”, riducendo tutto all’Europa. Così come non dovrebbe più passare in cavalleria, stemperata da affetti e attestati di stima per l’uomo, la drammatica affermazione di Berlinguer relativa alla scelta dell’ombrello della NATO.
Ferma restando l’infinita superiorità di Berlinguer rispetto ai protagonisti della “Bolognina”, un punto essenziale va riconosciuto: anche alla luce dell’analisi potente di Losurdo sui danni del marxismo occidentale, quella scelta di campo di Berlinguer, la scelta della NATO, va ormai definita come un atto grave e senza ritorno. Per dirla alla Losurdo: un certificato di morte del comunismo italiano.