di Redazione, con una presentazione di Laura Baldelli
A Porto San Giorgio (Fermo), sabato 14 ottobre, dalle ore 16.30, presso la sala Imperatori, via Oberdan 3, il Gruppo di Lavoro “Arte, Cultura e Comunicazione” del Centro Studi Nazionale “Domenico Losurdo” organizza un importante convegno pubblico, dal carattere seminariale, dal titolo “L’Arte racconta il lavoro”. Dal titolo stesso del convegno si evince qual è l’obiettivo del Gruppo di Lavoro del Centro Studi “Domenico Losurdo”: raccontare il rapporto tra il lavoro e l’arte, tra gli uomini e le donne in produzione e la produzione artistica. Tra il lavoro umano e l’Arte sul piano generale, come si comprende dalle stesse, diverse, relazioni al convegno, che affronteranno i temi della letteratura e il lavoro, la Costituzione Economica italiana (“forma d’arte” istituzionale) e il lavoro, il cinema e la fotografia e il lavoro, le Arti figurative e il lavoro. Introdurrà e concluderà il convegno Alessandro Volponi, docente di filosofia e Presidente del Centro Studi “Domenico Losurdo”. Interverranno: Gianmarco Pisa, saggista (“Le nostre lamiere: letteratura ed arte, industria e rivoluzione”); Alberto Sgalla, docente di Diritto e scrittore (“Il lavoro nella Costituzione Economica italiana”); Laura Baldelli, docente (“Uno sguardo sul lavoro: cinema e fotografia”); Angelo Ferracuti, scrittore (“letteratura e working class”); Rodolfo Bersaglia, docente di Storia dell’arte e artista (“Il lavoro nelle Arti figurative”). Pubblichiamo di seguito una presentazione a cura di Laura Baldelli del convegno.
L’arte si fa racconto della società
In un mondo che perde la memoria storica, consuma ed abusa della mendace informazione immanente l’arte, nelle sue declinazioni, quando si fa racconto della società e della sua umanità, crea testimonianza storica e valore civile. La letteratura sempre ci ha raccontato delle vicende umane nel mondo, arricchendo la storia di fenomeni sociali con i sentimenti umani, i valori, le aspirazioni personali e collettive, così la pittura e le nuove arti tecniche come la fotografia e il cinema, che sempre più preferite nella società dell’immagine, fanno da padrone nella cultura “pop”, cioè più diffusa e alla portata di tutti. Noi comunisti, tra le nostre riflessioni politiche, il mondo del lavoro non è solo pro-motore di riflessioni storico-socio-economiche-di genere-tecnologiche, ma anche patrimonio culturale, perché è stato un laboratorio di sperimentazione artistica, un racconto, declinato nella letteratura e nelle arti visive. Una memoria culturale ed identitaria del nostro Paese, sepolta dall’omologazione della globalizzazione economica neo-liberista, che nel suo falso progresso persevera nello sfruttamento del lavoro e degli esseri umani, ormai lavoratori-merce che i nuovi padroni invisibili dei fondi d’investimento espellono dal mondo del lavoro senza scrupoli; la facciata liberalista, i bisogni indotti con la spasmodica ricerca di piaceri, la debolezza sindacale, hanno annullato le coscienze e soprattutto la coscienza di classe: niente più lotta di classe di fronte al neoliberismo rapace; ma per noi comunisti non è arrivata la fine della Storia, annunciata da Fukuyama!
Per ricucire quel legame tra lavoro e impegno politico occorre ricostruire una coscienza di classe e il linguaggio dell’arte, che ha storicizzato momenti personali dentro la trasformazione sociale-politico-economica, può essere uno strumento di conoscenza, ma anche di godimento culturale alternativo al vacuo piacere del consumo. Questo è “fare cultura”, questo è “fare politica”.