di Laura Baldelli
“Io capitano”, di Matteo Garrone, vincitore del Leone d’argento all’80° mostra del cinema di Venezia, è un film potente e non solo emozionalmente, perché esprime un grande cinema sul piano estetico, narrativo e sociale.
Garrone si consacra “autore”, ancora una volta, con film originali, dalla narrazione supportata da buone sceneggiature, fotografia, musiche, grande ricerca culturale e tanta creatività.
Dietro i lavori del regista c’è la sua passione per l’arte che emerge in ogni film, dove le immagini e la luce della fotografia evocano la pittura, ma c’è anche il racconto letterario alla base della narrazione: “Il racconto dei racconti” ispirato alla raccolta di fiabe di fiabe di Giambattista Basile “Lo cunto de li cunti”, “Pinocchio”, ispirato dall’omonimo romanzo di Collodi, “Gomorra” dall’omonimo romanzo di Saviano, “Primo amore” tratto dal romanzo “Cacciatore di anoressiche” di Marco Mariolini.
Garrone parla anche e sempre di realtà, ha girato film difficili come “Dogman”, “Terra di mezzo”, “Reality”, “L’imbalsamatore”, “Estate romana”, “Ospiti”, in cui firma la sceneggiatura e produce i suoi lavori, che vincono Cannes e i David di Donatello.
Con “Io capitano” affronta il difficile tema dell’immigrazione, ma non è la prima volta: l’esordio fu con “Terra di mezzo” nel ’96 ed “Ospiti” nel ’98; lo fa ancora dopo anni di raccolta di materiali come testimonianze e racconti di prima mano, sopralluoghi, ricerche, fino a quando, come lui stesso ha affermato, “si è sentito pronto, maturo, per girarlo”. Con questo film cambia però il punto di vista nel racconto della migrazione: se nei precedenti film i migranti sono specchi per raccontare la trasformazione del nostro Paese, in questo invece, il punto di narrazione è quello del migrante nel suo viaggio.
Garrone è un autore che mette alla base del suo lavoro la ricerca sociale ed artistica, senza essere condizionato dalle mode, dal sentire comune, dalla banalità, dalla retorica, dal politicamente corretto. Inoltre, il suo, è un linguaggio per immagini che arriva a tutti, anche nei film più difficili, perché c’è sempre una carica di umanità che va oltre l’estetica. Il suo è un cinema che rischia, sempre.
“Io capitano” infatti è un film epico, un’odissea contemporanea, ma anche modernamente “on the road”, lontano da retoriche politicamente corrette, è una rappresentazione di verità con un alto livello artistico, dove la creatività, le conoscenze culturali e le competenze tecniche creano una riflessione civica e sociale che risveglia anche le coscienze addormentate.
E’ la storia di due giovani senegalesi, che vogliono diventare musicisti di successo in Europa, disobbedendo alle loro famiglie e a tutti quelli che li sconsigliano, perché conoscono i pericoli del viaggio e il dramma del futuro che li attende; non scappano dai disagi, ma inseguono un sogno di realizzazione nella musica, come tanti nostri giovani europei, che però l’UE vuole sempre in movimento, tanto che migliaia di giovani italiani sono costretti alla migrazione per lavorare e non certo per inseguire un sogno. Il Senegal da anni mette in campo task-force che mettono in guardia sulle fasulle notizie di un Europa accogliente e le promesse di un futuro migliore, perché nella civilissima UE si accolgono solo schiavi.
Garrone parte da una storia vera di un giovane migrante che aveva salvato altri migranti, guidando l’imbarcazione nel Mediterraneo e poi ne ha fatto un racconto che intreccia tante altre testimonianze. Il film è sempre fedele alla dignità umana e con grande onestà intellettuale porta lo spettatore a viaggiare assieme ai due capitani coraggiosi, che ricordano Huckleberry Finn, Lucignolo e Pinocchio, perché la letteratura, come la pittura sono la formazione del regista. Paolo Carnera lo segue con una straordinaria fotografia che aiuta ad abitare questa storia, cambiando la saturazione dei colori in base ai momenti della vita e del dramma del viaggio dei ragazzi.
Il film è nelle sale proprio nel momento in cui Lampedusa è l’approdo di migliaia di migranti, un numero mai raggiunto che scredita gli accordi del governo con i paesi da cui partono. L’UE e i paesi che ne fanno parte non ne vogliono più sapere di accoglienza ed integrazione. Questi sono i risultati della guerra alla Libia, delle ipocrite e dannose “primavere arabe”, tutte provocate intenzionalmente per destabilizzare l’Europa dal presidente più guerrafondaio degli USA, Barak Obama, il primo presidente afroamericano, subito premiato con il Nobel per la pace perché nero, come se fosse garanzia di armonia nel mondo.
Nessuna informazione fa un’analisi geopolitica adeguata, impantanando l’opinione pubblica tra l’accoglienza umanitaria e chiusure per il timore di una sostituzione etnica. Nessuno dice che invece di arricchire i trafficanti si possono aprire corridoi umanitari, quando migliaia di esseri umani scappano dalle guerre, dalla desertificazione ambientale: non dimentichiamo che in Africa la prima industria è la guerra e la seconda l’immigrazione.
Il film ha una forte carica emotiva, ma non calca la mano, la regia lascia molta libertà agli attori, tutti non professionisti, evita il doppiaggio e tutti recitano in lingua originale: in wolof la lingua madre di molti senegalesi, poi le lingue del colonialismo come il francese e l’inglese; i sei mesi di lavoro per scrivere la sceneggiatura è servita molto alla regia, perché Garrone ogni giorno ha raccontato le vicende agli improvvisati attori, che hanno recitato senza averne mai letto una riga: un’empatia artistica che esula dagli effetti speciali, dai trucchi del cinema. Seydou Sarr, il giovane senegalese protagonista ha vinto la Coppa Volpi, forse troppo, forse era meglio osare con il Leone d’oro.
Garrone parte sempre dalla realtà e sembra proseguire, nella narrazione, la strada tracciata da Rossellini, ma sempre ibridandola con il registro poetico della fiaba. La musica, curata da Andrea Farri, ha un ruolo importante, accompagnando la narrazione dell’ottimo montaggio di Marco Spoletini, sempre all’altezza dell’impatto emotivo ed estetico.
La produzione è italo-belga, dove Garrone con la sua Archimede, ma anche Rai-Cinema, sono una garanzia di qualità ed indipendenza. Il film ha un buon successo anche al botteghino e speriamo rappresenti l’Italia agli Oscar e premi l’arte che racconta il mondo e l’umanità.