di Laura Baldelli
È visione pura e sperimentazione di un linguaggio filmico che in seguito portò alla definizione di “cinema d’azione moderno” negli anni ’80.
Sempre grazie ai restauri della Cineteca di Bologna, film che hanno segnato un’epoca, sono entrati nell’immaginario collettivo ed hanno cambiato il modo di fare cinema, tornano a circolare per il piacere della ri-visione, ma anche della prima visione per le nuove generazioni.
Nelle arene estive, dopo il passaggio nelle sale durante l’inverno, si sono creati eventi sulla scia del marketing statunitense, eventi che, come per “Barbie”, si lanciava il travestimento del pubblico ispirato ai Guerrieri della notte.
A parte questo, il film di Walter Hill, è epico ma anche epocale, un affresco generazionale che conserva il suo fascino, come del resto anche gli altri due film del regista che compongono la trilogia: “The Driver” e “Street of fire””.
Il film uscì nel 1979, è tratto dal romanzo di Sol Yurick “I guerrieri della notte”, fu girato in poche settimane con basso badget e la Paramount investì pochissimo nella distribuzione, ma contro ogni previsione la pellicola ebbe un grande successo finanziario e diede vita ad un fortunato e longevo franchising di vhs, dvd, videogiochi, libri.
Il film è la lunga avventura di una notte nella metropolitana di New York, evocando il genere western, ma con la tensione incalzante di un action-thriller, con costumi e brani da musical, nonché con le dinamiche di un film di guerra.
La vera sorpresa è che Hill nello scrivere la sceneggiatura si sia ispirato non solo al romanzo omonimo, ma anche all’ “Anabasi” di Senofonte, l’autore greco che raccontò su base autobiografica la ritirata dei diecimila mercenari al seguito di Ciro il giovane, sconfitto nella battaglia di Cunassa, attraverso l’impero persiano.
Non a caso il più potente e rispettato capo delle bande newyorkesi nel film si chiama Cyrus e come nell’Anabasi la salvezza arriverà sulle rive del mare: per gli antichi guerrieri fu sul mare della Turchia, mentre per i Warriors sulle spiagge dell’oceano a Coney Island; anche il capo dei Warriors ha un’ispirazione classica, il suo nome è Cleon, come Cleone uomo politico ateniese ed anche l’unità di tempo di narrazione di una sola notte e il luogo nelle intricate stazioni e binari della metro, ricordano le regole del teatro greco aristotelico. Una sorpresa per un film-avventura “on the road”, icona della New Hollywood, manifesto del cinema pop.
Ma la pellicola di Hill è anche un affresco corale, dove gioca con gli stereotipi etnici in una scenografia minimale, scandito da un racconto immediato pensato per un pubblico giovane.
Infatti il linguaggio filmico è espresso con l’azione fisica quasi stilizzata, che ricorda i cartoni animati, dove i combattimenti sono coreografici, in un mix tra la “street dance” e le arti marziali .
Il montaggio alternato crea una narrazione frammentata, dove la fuga dal Bronx per rientrare a casa nella lontana Coney Island, serve per tenere assieme tutte le scene di dinamismo puro, fatte di corse e combattimenti in una New York notturna e deserta, che sembra divisa per feudi sotto il controllo delle gang.
Hill pensò il film come un albo a fumetti in veste filmica, elaborando un’estetica del fumetto e lo visualizzò in capitoli inframezzati dalla voce narrante della speaker radiofonica Dolly Bomba che commenta fuori campo, informando lo spettatore di tutti gli spostamenti dei Guerrieri e degli eventi: una trovata geniale che serve ad inserire i brani della colonna sonora del film. L’immagine e l’azione prevalgono sui dialoghi che sembrano innesti, anche perché nella fuga non c’è tempo per le chiacchiere, così nelle prime memorabili immagini del film che presentano gli anti-eroi nel viaggio di andata al raduno delle bande di New York, quasi un prologo, da film nel film.
La fotografia di Andrew Laszlo crea geometrie urbane dalla luce notturna di colore blu, ibridando il film tra il noir urbano e il sotto-genere americano chiamato “blaxpoitation”, dove si racconta di sfruttamento e delinquenza anche etnica. Eppure Hill dichiarò che non presentava le bande come un problema sociale, perché il problema non era non poter andare al college, ma quello di sopravvivere per ritornare a casa e questo ne decretò il successo tra i giovani, tanto che al primo fine settimana di proiezioni incassò 3 milioni e mezzo di dollari: un successo spontaneo anche senza il lancio pubblicitario della Paramount Pictures.
Il film è come un’istantanea che coglie un momento nella vita dei personaggi e non ha pretese di raccontare la delinquenza giovanile: è visione pura e sperimentazione di un linguaggio filmico che in seguito portò alla definizione di cinema d’azione moderno negli anni ’80; soprattutto un cinema che usciva dai teatri di posa, dagli studios delle majors e si sporcava le mani per le strade, senza nemmeno spettacolari panoramiche.
Infatti le riprese non furono facili a causa dei tanti curiosi nelle strade di New York, oltre la security fu necessario servirsi dei veri componenti delle bande dei quartieri; gli attori furono scelti in base al loro aspetto e nessuno di loro diventò così famoso, rimasero icone giovani.
L’attore David Patrick Kelly che interpretava Luther, il capo banda squilibrato dei Rogues, improvvisò la famosa scena in cui sbatte le bottiglie per richiamare la banda dei Warriors dicendo: “guerrieri, giochiamo a fare la guerra?”
La colonna sonora del film è un compendio di stili musicali dell’epoca: rock, funk, disco, salsa, rhythm and blues, uno dei migliori commenti musicali del cinema, che ha contribuito a creare in Europa un grande immaginario collettivo della Grande Mela.
Il personaggio di Swan, interpretato dall’attore Michael Beck, nuovo leader degli Warriors dopo l’uccisione di Cleon, è ancora un’icona indimenticabile, con il gilet di cuoio, la divisa della banda.
Oggi sappiamo creare qualcosa che diventi un cult, o siamo creativamente appiattiti sui trend commerciali e di breve consumo? Bisognerebbe lasciare spazio ed offrire opportunità economiche ai giovani: uomini e donne che vogliono fare, del cinema, il proprio lavoro.
La critica non comprese subito l’innovazione cinematografica della pellicola, preoccupata del racconto morale sulle gang giovanili, senza neanche vedere che c’era un velato finale di redenzione; ma i critici, si sa, a volte pensano che il proprio gusto personale sia verità assoluta.
Almeno questa volta ha vinto il pubblico!