Di Orazio Di Mauro *
I miti storici sono fondamentali nella costruzione di una realtà storica, uno stato, un’istituzione, un’epoca più o meno celebrata. La storia militare non fa eccezione, anzi qui il mito è forse la gran parte di ciò che ricordano di un fatto storico i contemporanei per quanto esso possa essere stato decisivo nella costruzione di uno stato. Israele ha i suoi miti fondativi e sono Tzva Hagana LeYisra’el in ebraico Tsahal oppure citato nella forma inglese IDF (Israel Defense Forces), Il kibbutz creazione derivata del pensiero socialista dei primi anni del novecento, dove la proprietà è comune e le decisioni sono prese collettivamente e in ultimo un mito collegato a Tsahal quelle delle donne che combattono fianco a fianco agli uomini.
Nato nel 1948 con lo scopo di proteggere l’integrità territoriale e la sovranità dello Stato di Israele Tsahal è la creazione dell’allora trentaduenne Yigael Yadin, scelto per questo compito da Ben Gurion. Yadin coniugò grandi idee strategiche con principi tattico operativi. Ma soprattutto davanti all’inferiorità demografica dello stato ebraico. Partendo dal morale che doveva essere sempre alto. Israele non ha mai riconosciuto una sconfitta sul campo e non divulga nei bollettini ufficiali le perdite subite. La realizzazione più considerevole è stata dettata dalla necessità di un impiego totale del potenziale bellico umano della comunità israeliana. Tutti i cittadini dello Stato d’Israele, residenti sia in Israele che all’estero, anche se in possesso di una cittadinanza straniera oltre a quella israeliana, iene applicata anche ai residenti regolarmente soggiornanti in Israele, anche se non sono cittadini israeliani. L’obbligo del servizio è applicato ad ogni persona idonea al servizio, tra l’età di 18 e 29 anni inclusi. Chi che ha oltrepassato l’età del servizio obbligatorio e che non ha adempiuto all’obbligo di servizio nel tempo prescritto dalla legge, è dichiarata trasgressore della legge e le sarà richiesto di servire nell’IDF nelle modalità stabilite dalle autorità dell’IDF. Gli israeliani possono essere richiamati nell’esercito anche una volta conclusa la leva. I cittadini richiamati sono definiti riservisti e, a oggi, sono circa 400mila. In un modo o nell’altro ogni cittadino israeliano è impegnato nell’attività dell’IDF. Questa è la forza e al contempo la debolezza di Israele. Israele può mettere in campo in pochi giorni quasi 500.000 uomini, tutti dotati di un addestramento militare di base. La debolezza è che se quasi tutta la forza lavoro è al fronte la macchina statale e le attività produttive in un tempo breve si fermeranno con le prevedibili conseguenze. Il mito dell’esercito e del popolo che coincidono ha accompagnato Israele fin dal 1948. È stato un grande mito e ha dato il suo contributo morale all’immagine del paese nel mondo. Ma da una decina di anni ha cominciato a mostrare crepe sempre più evidenti. Integrato con questo mito un altro mito vive fin dalle origini nell’esercito di Gerusalemme. Quello delle donne che combattono fianco a fianco ai loro fratelli maschi. Lo sgretolamento di questo mito è meno appariscente ma molto più insidioso per l’unità dell’esercito.
Dopo la guerra del Kippur, (ottobre 1967), Israele era sicura che la sua forza in cui tutto il popolo è l’esercito e l’esercito è il popolo avrebbe assicurato la superiorità sugli arabi e il dominio senza fine in Medio Oriente. Ma questo esercito stava per incamminarsi verso una strada che lo avrebbe portato ad oggi a perdere le capacità che aveva tra il 1947 e il 1973. L’IDF e i suoi soldati dalla guerra del Libano del 1982, che fu un dramma consistente in combattere forze notevolmente inferiori e perfino bambini armati di pietre. Tutto comincia con l’invasione del libano
L’invasione del Libano segna un discrimine tra l’esercito israeliano che aveva nell’efficienza e la precisione nell’acquisire e neutralizzare obiettivi e quello che si palesò allora nell’estate del 1982 che malgrado non avesse davanti forze capaci di impegnarlo seriamente, comunque molto andò storto e non tutti gli obiettivi furono raggiunti al tempo del cessate il fuoco. Spesso nei resoconti di questa guerra si ricorda il massacro dei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila, che fu perpetrato dalle milizie cristiane dei fratelli Gemayel sotto lo sguardo indifferente dell’IDF, ma si dimentica il massacro del villaggio di Ain al-Hilweh vicino Sidone nel sud del Libano. L’avanzata israeliana si arrestò davanti a questo villaggio per l’accanita resistenza dei miliziani di Al Fatha. Sottoposto ad un imponente bombardamento aereo che causò pesanti perdite tra la popolazione civile e distruzioni del 100%. Nessun tentativo, nemmeno abbozzato da parte dell’IDF di prendere il villaggio con le forze di terra. La guerra del Libano segna l’inizio del nuovo modo di fare la guerra. La presa di Beirut palesò davanti ai capi dell’IDF un detto Machiavellico che le regioni periferiche sono facili da conquistare ma molto difficili da tenere. Ma gli israeliani si sono sempre mostrati ciechi e non hanno mai preso in considerazioni l’odio delle popolazioni occupate. La loro potenza di fuoco la possibilità di uccidere senza che le forze avversarie potessero reagire li aveva guastati. L’addestramento al combattimento nei centri urbani è progressivamente limitato a forze speciali numericamente ridotte. I riservisti non sono addestrati, ma per necessità inviati a pattugliare, fare posti di blocco ma se si perde lo spirito cameratesco l’esercito non fu più un luogo dove le varie generazioni e le classi sociali s’incontravano e sedimentavano uno spirito di corpo a livello di paese che aveva reso Tsahal il mitico esercito del popolo d’Israele. Oggi un ingegnere, un docente di scuola un impiegato d’azienda è richiamato per fare estenuanti pattuglie in territorio ostile e magari spara ai ragazzini che gli lanciano le pietre, oppure entra nelle case dei palestinesi per inseguire il miliziano che gli ha lanciato contro e rabbiosamente maltratta, se non peggio, i civili che vi trova. Di addestramento al combattimento in campo o ancor meglio urbano poco o nulla. Nella lotta in Libano dal 1986 al 2000, quel sud del Libano che Israele aveva invaso brutalmente, la soluzione è stata il ritiro. Idem nella guerra dei 34 giorni con Hetzbollah nel 2006 finita con il non compiuto attacco di terra. Anche lì i riservisti hanno subito le maggiori perdite. Le tre Intifade, il termine è entrato nell’uso comune col quale sono conosciute le rivolte palestinesi fatte per porre fine all’occupazione israeliana in Palestina. L’Intifāda è uno degli aspetti più significativi degli anni recenti del conflitto israelo-palestinese. Le tre intifade, la prima l’Intifada delle pietre colse di sorpresa l’esercito e si ebbero episodi di violenza gratuita sui giovani che lanciavano pietre contro i soldati israeliani, prova della rabbia si ebbe quando alcuni riservisti rapirono un quindicenne palestinese spezzandogli tutti e quattro gli arti. La seconda intifada detta di al-Aqsa, la famosa passeggiata di Sharon nella spianata delle moschee. Il suo inizio è databile al 28 settembre 2000. L’esercito fornì una “buona prova di sé” reprimendola spietatamente, era preparato e lo dimostrò. Alla fine tra violenze di ogni genere e attacchi suicidi palestinesi si esaurì tra la fine del 2008 e il 2009. Tsahal poteva proclamare la sua vittoria, ma aveva creato un esercito per reprimere le insurrezioni ma non un esercito per combattere le guerre di terra.
Ma proprio allora entra in scena Gaza. Nel 2005 Israele si ritirò e l’anno dopo Hamas, vinte le elezioni, che l’ANP di Gerico non riconobbe, prese il controllo della striscia. Gli alti comandi e il potere politico israeliano vide con grande soddisfazione la realizzazione di un sogno politico. La divisione dei palestinesi e potersi confrontare con un’organizzazione di stampo terroristico su cui riversare l’odio per i palestinesi e l’imponente capacità di fuoco del suo esercito. Le cose però non andarono come Israele pensava. Già la conclusione dell’operazione “piombo fuso” non si concluse con l’occupazione di tutta la striscia, ma solo dei bordi e meno che mai di Gaza city. È nell’operazione “margine di protezione”, del 2014 dove l’IDF mobilità ben 445.000 accanto ai reparti d’élite per farla finita con il lancio di razzi da parte di Hamas che la debolezza si palesa. Nei combattimenti a terra nel centro di Gaza muoiono decine soldati israeliani, tutti appartenenti alla brigata Golani, celebrata unità d’élite schierata nel quartiere, nella convinzione di poter annientare Hamas. I combattimenti durano tre ore, diversi blindati leggeri distrutti o fuori uso. Fino ad allora fu il giorno più sanguinoso per l’IDF. Significativo è il fatto che i riservisti non furono impegnati in combattimento. Arrivando ad oggi possiamo concludere che i riservisti sono poco adatti al combattimento contro un nemico deciso a resistere. I reparti d’élite sono si capaci di vincere anche contro Hamas ma oggi Gerusalemme è incorsa nel “dilemma del comandante spartano” Cioè: “se attacco vinco, ma allo stesso tempo perdo soldati ben addestrati e mi indebolisco.” Come risponde oggi Israele a questo dilemma. Cercando di provocare una conflagrazione generale nel Medio Oriente. Se ciò avvenisse gli USA dovrebbero correre a soccorso di Gerusalemme anche con truppe di terra, e l’Europa sarà tirata da Washington nel conflitto. Il mio parere è che ciò non avverrà. Una cosa è certa: dal 7 ottobre Tsahal non è più l’esercito del secolo scorso. Non si contende il controllo di un Kibbutz con dentro civili sparando ai miliziani di Hamas con un carro armato, molti morti di questa guerra sono vittime di fuoco amico.
* Esperto e studioso di questioni politico-militari, in special modo relative al XX e XXI Secolo. Del Centro Studi Nazionale “Domenico Losurdo”.