Intervento di Giambattista Cadoppi al Convegno di venerdì 29 settembre a Torino organizzato dal Centro Studi Nazionale “Domenico Losurdo”, “Interstampa” e “Cumpanis”, dal titolo “Socialismo con caratteristiche cinesi e ruolo della Cina per un mondo multipolare”
Di Giambattista Cadoppi
Ci sono stati due avvenimenti, contemporanei, che hanno determinato il crollo del socialismo storico: la caduta dei paesi socialisti dell’est Europa e la quasi caduta del socialismo in Cina dopo gli avvenimenti di piazza Tienanmen nel 1989. Questi avvenimenti hanno portato ad una diffidenza crescente nei confronti del socialismo. Domenico Losurdo è stato tra i pochi che hanno reagito elaborando, in risposta a questi drammatici avvenimenti, la tesi della costruzione del socialismo come processo di apprendimento.
Se la borghesia, già da prima delle rivoluzioni che l’hanno portata al potere, aveva in mano le leve dell’economia, così non è stato per la classe operaia e le masse popolari, le quali hanno dovuto apprendere l’esercizio del potere politico e l’arte della costruzione di una nuova economia socialista. Le rivoluzioni guidate da partiti comunisti hanno dovuto, in genere, misurarsi con paesi con una presenza debole della classe operaia industriale e della stessa borghesia; con un’economia arretrata; con rapporti di produzione spesso feudali agendo in una situazione di isolamento e di accerchiamento e in uno stato d’eccezione.
La domanda è perché coloro che hanno seguito il percorso iniziato dai comunisti cinesi dopo 1978 hanno resistito e si sono sviluppati mentre altri hanno dovuto cedere. Il processo di apprendimento dei comunisti cinesi è stato significativamente più efficace di quello dei loro compagni sovietici. Per questo Losurdo si è impegnato in prima persona per diffondere in Italia e in Occidente la conoscenza della realtà cinese contemporanea e del socialismo con caratteristiche cinesi; una pratica che ha fatto i conti con l’intera esperienza dell’edificazione del socialismo in Unione Sovietica e nelle democrazie popolari, che i cinesi hanno studiato approfonditamente. Socialismo che tiene conto delle caratteristiche specifiche, nazionali, dell’applicazione del socialismo. Cosa di cui anche noi abbiamo qualcosa da dire, come italiani, la paternità per quella che potremmo definire l’italianizzazione del marxismo operata da Gramsci e l’elaborazione della Via italiana al socialismo da parte di Togliatti. Lo stesso Deng Xiaoping, nel colloquio che ebbe con Enrico Berlinguer sembrò in un qualche modo riconoscere questo, dopo essere stato uno dei nemici implacabili, assieme a Liu Shaoqi, del “revisionismo” togliattiano. E allora dobbiamo vedere anche la rilevanza dell’elemento nazionale nel processo di apprendimento.
Uno studioso russo rilevava che nella prima metà degli anni Novanta c’erano intere sezioni delle librerie cinesi dedicate a libri incentrati sul riesame critico dell’edificazione del socialismo nell’Europa Orientale e le cause della sua caduta.
Per Losurdo si può partire da un caposaldo del marxismo quale la lotta di classe che può essere detta, aristotelicamente, in diversi modi. I percorsi dell’emancipazione e del riconoscimento riguardano indubbiamente l’emancipazione sociale, ma anche quella nazionale che dunque è una forma particolare di conflitto sociale. In specifico la lotta di liberazione nazionale è la stata la vera cifra del movimento comunista e rivoluzionario internazionale del XX secolo. La questione nazionale è l’espressione dell’universale concreto dell’autentico internazionalismo. La stessa Rivoluzione d’Ottobre è diventata immediatamente una lotta di liberazione nazionale dopo l’invasione da parte di numerosi paesi (tra cui l’Italia) a sostegno dei controrivoluzionari “bianchi”.
Lenin incitava l’Armata Rossa a combattere una battaglia “sacra” per la Patria sovietica. E sottolinea patria contro l’estrema sinistra occidentale che ironizza sulla “difesa della patria” nella Russia dei Soviet, condannando i bolscevichi come dei social-patrioti qualsiasi. La guerra civile combattuta contro i bianchi e poi contro l’invasione polacca si può considerare come la prima guerra patriottica.
Dal punto di vista interno dell’Unione Sovietica, il processo di apprendimento attraversa diverse fasi: dalla NEP e poi alla collettivizzazione e alla industrializzazione con grandissimi successi, ma anche dei limiti sostanziali.
Per il movimento comunista internazionale si ha lo stesso processo di apprendimento. All’interno del Comintern viene superata l’infruttuosa fase del “classe contro classe”. Con il VII congresso si passa alla politica dei Fronti popolari che è in consonanza con quanto viene elaborato da Mao e dai comunisti cinesi con la lotta per la Nuova Democrazia che anticipa, a sua volta, la teorizzazione sulle Democrazie popolari.
Si succedono allora altre tre grandi guerre patriottiche. Alcuni storici parlano espressamente della guerra di Spagna come una di queste guerre patriottiche che possiamo chiamare la seconda, dopo quella seguita alla Rivoluzione d’Ottobre. La terza grande guerra patriottica potrebbe essere quella del Fronte Unito Antigiapponese in Cina. Infine, la grande epopea della Guerra patriottica sovietica che annienterà la peste grigia nazista che è la quarta guerra patriottica.
Il cosiddetto “marxismo occidentale” nega la centralità della questione nazionale, ma i partiti comunisti che agiscono in Occidente diventano effettivamente partiti di massa nella lotta di liberazione nazionale. Il partito dei fucilati in Francia, il PCI di Togliatti e il Partito Comunista Cecoslovacco che guidano la resistenza patriottica nei rispettivi paesi si proclamano partiti della nazione e, alla fine degli anni Quaranta raccoglieranno quasi due milioni e mezzo di iscritti. Il Partito Comunista Jugoslavo, la cui vicenda è più nota, è un altro esempio.
Se nel 1917 i partiti comunisti e si erano formati nella lotta contro la guerra, con la Seconda guerra mondiale diventano partiti di massa partecipando in varia misura alla guerra nazionale. In seguito, il movimento comunista si sviluppa con una serie di guerre patriottiche in Indocina, a Cuba e così via. Proprio Mao scriverà pagine indimenticabili, sempre ricordate da Losurdo, sul rapporto tra lotta nazionale e internazionalismo. Naturalmente in Occidente la sola pronuncia della parola patria genera sospetto, in particolare in Italia e Germania dove ha assunto il significato di razza, sangue e stirpe, insomma l’anticamera di Auschwitz.
D’altra parte, se tra la sinistra radicale in Occidente è più popolare parlare di estinzione dello stato e di eliminazione radicale della fonte di tutti i mali ossia il potere (nella versione bertinottiana), in Oriente ci si batte per rafforzare lo stato, cosa che permette ad esempio alla Cina di resistere alla pressione dell’imperialismo (Losurdo 2017).
Anche qui è presente il processo di apprendimento. Se in Occidente si tende a vedere nella futura società l’antitesi radicale, l’opposto della società capitalista, in Oriente e già in Mao e soprattutto in Deng Xiaoping si tende vedere la società socialista come il superamento del capitalismo che non può prescindere marxianamente dallo sviluppo delle forze produttive. In questo contesto il capitalismo non va annientato ma bensì marxianamente superato. Solo un sistema che superi il capitalismo nella creazione di ricchezza può essere appoggiato dalle masse popolari. Altrimenti, a ragione, lo rifiuteranno. C’è poco da fare, le masse sono materialiste (ancorché dialettiche). Superamento che però dialetticamente conserva i traguardi ottenuti, che in Cina sono ancora da raggiungere completamente, traghettando tutto il meglio della vecchia società in termini di economia, di eredità tecnico-scientifica e culturale nella nuova società incamminata verso il socialismo. In Cina si fa di più: si cerca di sinizzare il marxismo raccogliendo i frutti migliori della tradizione cinese, come lo spirito confuciano.
I cinesi sono desiderosi di raccogliere il meglio della scienza e della tecnica occidentale favorendo il trasferimento di conoscenze attraverso le joint ventures delle zone economiche speciali. Lo sviluppo economico ha permesso, ricordava sempre Losurdo, di togliere dalla povertà assoluta qualcosa come quasi 900 milioni di individui facendo del governo cinese il più popolare del mondo presso il proprio popolo, non secondo l’opinione dei dirigenti cinesi, ma secondo la Pew Research americana che sonda periodicamente la governance nei vari paesi.
Losurdo scrive: “La Cina sta costruendo un’alternativa rispetto al tradizionale ordinamento internazionale che vedeva l’Occidente detenere il monopolio della tecnologia, confinando il Terzo Mondo al ruolo di erogatore di materie prime e di forza-lavoro a basso costo e di prodotti a basso contenuto tecnologico. Grazie al prodigioso sviluppo economico e tecnologico della Cina, il precedente modello di divisione internazionale del lavoro sta entrando in crisi”.
Il faticoso processo di apprendimento della Cina che oggi mette in discussione l’egemonia americana, ha fatto passare il paese attraverso tutte le fasi sperimentate negli altri paesi socialisti: dalla Nuova Democrazia ovvero Democrazia popolare a quella sorta di Comunismo di guerra che fu la Rivoluzione Culturale, alla gigantesca NEP chiamata da Deng Xiaoping “Politica di Riforma ed Apertura” fino al “socialismo di mercato” già sperimentato nei paesi dell’Est. L’attuale approdo dei comunisti cinesi che tiene le aziende strategiche sotto il controllo dello stato è più abbordabile del socialismo di tipo sovietico anche per quei comunisti che si trovano nell’Occidente capitalista. L’economia di mercato socialista evita l’instabilità macro-economica del capitalismo, mentre sfrutta l’efficienza micro-economica del mercato. Mercato che nella sinistra occidentale, anche per la commistione tra marxismo e controcultura anglosassone dopo il Sessantotto, suscita una condanna senza appello, per altro mai pronunciata dai classici del marxismo.
I cinesi sono arrivati a elaborare le tesi sul socialismo di mercato partendo da una revisione critica delle esperienze sulla costruzione del socialismo in URSS e nelle democrazie popolari. Proprio nelle democrazie popolari fioriscono le teorie e le prime applicazioni del socialismo di mercato che, dunque, non è per nulla estraneo all’esperienza storica dell’edificazione socialista (Lange in Polonia, l’Ungheria di Kadar). I cinesi non hanno demonizzato né Stalin né Mao. Hanno semplicemente rivisto in modo critico tali esperienze non per ricominciare da capo, ma per andare avanti. Nessun ritorno a Marxo a Lenin.
Il marxismo proprio perché vuole essere una teoria scientifica deve evolversi e modificarsi a contatto con la realtà concreta. Tutto può essere revisionato. Qui poi bisogna intendersi su cosa si intende per marxismo. È singolare che i dottrinari non citino mai il Lenin del dopo 1917. Quello che fa i conti con la “governance” diremmo oggi.
Bisogna fare qui una premessa metodologica o epistemologica che dir si voglia. Il marxismo ambirebbe ad essere scientifico, dunque, implica quegli elementi empirici e pragmatici (in senso lato) che sono tipici delle metodologie scientifiche. Il marxismo è una guida per l’azione ma non sostituisce l’analisi concreta della situazione concreta che sostiene l’azione. Stalin metterà il pragmatismo degli americani come una delle qualità che deve avere il bolscevico. Adottando la pratica come solo criterio della verità, il marxismo nella versione cinese diventa un soggetto su cui si può riflettere per svilupparlo e rinnovarlo. In questo modo si è aperta la strada ad ogni possibile contributo al marxismo e all’apertura economica. I comunisti cinesi hanno praticato a più riprese la “liberazione del pensiero” il che implica l’emancipazione da tutti i tabù dogmatici che si sono incrostati nel marxismo. Questo è avvenuto in base alla massima di Mao secondo cui la prassi è il criterio della verità ovvero “cercare la verità nei fatti”. La qual cosa rappresenta un salutare bagno nell’empirismo dopo stagioni passate nel dogmatismo talmudico. Mettere una pietra dopo l’altra per attraversare il periglioso fiume è anche un’immagine che ricorre sovente nelle espressioni dei comunisti cinesi che corrisponde efficacemente al criterio epistemologico adottato in Cina. L’apertura verso l’esterno inoltre permetterà al marxismo cinese di diventare una teoria competitiva che consentirà di confrontarsi alla pari con altre teorie come quelle neo-liberali.
Occorre ricordare che per il marxismo è la pratica sociale che è fonte delle nostre sensazioni e la base anche delle nostre elaborazioni. La pratica sociale, collettiva e non meramente soggettiva ci permette anche di valutare storicamente i fatti, di fare un bilancio storico di un’esperienza ormai secolare di edificazione del socialismo. Il marxismo vivente si evolve continuamente in rapporto alla situazione concreta che abbiamo davanti e con il bilancio dell’esperienza accumulata che abbiamo alle spalle ovvero il “processo di apprendimento”.
La sinistra occidentale assomiglia da questo punto di vista ai filosofi, descritti da Brecht, travolti dal Fiume Giallo e che, proprio per questo, non sono riusciti a stabilire se esista una realtà esterna perché ne sono stati travolti. In realtà il modo di pensare della sinistra occidentale ha impedito uno studio concreto di ciò che si stava verificando nei paesi capitalisti e delle sfide che ciò comporta per il socialismo, mentre nel “Manifesto” Marx e Engels sottolineavano come la borghesia non potesse vivere senza rivoluzionare di continuo i mezzi di produzione e con essi tutta la società. Il capitalismo ha dimostrato di potere superare le crisi ricorrenti ristrutturandosi e di sapere ancora creare ricchezza.
Una nazione forte economicamente ha rafforzato la popolarità dei comunisti all’interno del paese e ha permesso al paese di proiettarsi verso l’esterno. Brics, Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, la Via della seta (Belt & Road Initiative) stanno cambiando il mondo indirizzandolo verso la fine dell’unilateralismo americano, rafforzando i paesi che resistono all’imperialismo occidentale e che reggono ai vari embarghi proprio grazie al dinamismo economico e commerciale della Cina.
Losurdo pone anche la domanda se ci sia più uguaglianza oggi o nel periodo di Mao? La risposta è che il grande sviluppo economico cinese ha portato maggiore eguaglianza promuovendo lo sviluppo dei paesi arretrati riducendo la distanza rispetto a quelli avanzati. L’eccezionale sviluppo della Cina ha contribuito a ridurre quella che Kenneth Pomeranz definiva la «grande divergenza». Centinaia di milioni di esseri umani hanno avuto accesso al primo dei diritti umani: vivere dignitosamente.
L’emersione della Cina dalla povertà, le politiche win-win nei confronti dei paesi africani e del terzo mondo hanno scatenato una gigantesca lotta di classe in cui le potenze dominanti e in particolare gli Stati Uniti cercano di ricacciare indietro i paesi emergenti. Oggi questo è l’aspetto principale che assume la lotta di classe a livello internazionale. La possiamo chiamare la quinta grande guerra patriottica in cui i paesi emergenti lottano per riaffermare la loro indipendenza e l’autonomia strategica. Quindi lotta all’unipolarismo per un mondo multipolare.
Sta di fatto che l’altra grande divergenza quella tra “marxismo occidentale” e “marxismo orientale” di cui parlava Perry Anderson negli anni Settanta del secolo scorso ha lasciato sul terreno, dopo quarant’anni un solo vero contendente che possa affermare che la propria teoria sia diventata, secondo l’espressione di Marx, una forza materiale: questo è il “marxismo orientale” mentre quello occidentale è ormai relegato all’accademia-
Il marxismo con caratteristiche cinesi è l’esperienza storica dei comunisti cinesi ovvero ciò che essi hanno imparato dalla propria esperienza e dal confronto con le altre esperienze nel loro processo di apprendimento, è in diretta connessione con la prassi nella quale si verifica, dunque è scienza. Il marxismo cinese per Losurdo è Marxismo Vivente e non il marxismo morto e sepolto degli accademici, degli scolastici e dei dottrinari.
Rimane da costruire il socialismo con caratteristiche italiane, ma anche qui si tratta di creare un vasto fronte che rivendichi l’autonomia strategica dell’Italia nella lotta per il multipolarismo con un ampiamento delle alleanze sociali costruendo così il partito della nazione, ossia il partito del 99% degli italiani come si riprometteva di fare il Partito Comunista italiano all’indomani della fine della guerra.
Bibliografia
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